Sono trascorsi oramai decenni dalla descrizione dei primi casi di AIDS e ora ci troviamo in una nuova era della gestione clinico-terapeutica della malattia HIV.
Le potenti terapie antiretrovirali di combinazione (cART) in particolare le triplici terapie (TT) hanno drasticamente ridotto la mortalità per AIDS e prolungato notevolmente l’attesa media di vita delle persone sieropositive, che è divenuta analoga a quella delle persone sieronegative.
Dall’altro lato, però, il danno causato dall’infezione da HIV e le conseguenze a lungo termine della terapia antiretrovirale non sono ancora del tutto noti, parallelamente all’osservazione di un aumento dell’incidenza di malattie cardiovascolari, renali ed epatiche in questa popolazione di individui. Quale sia l’esatto contributo all’insorgenza di queste comorbidità della replicazione virale residua, dello stato di infiammazione e immunoattivazione cronica e dei farmaci antiretrovirali non è ancora noto.
Il problema del trattamento del paziente con infezione da HIV implica dunque non solo la corretta gestione della terapia antiretrovirale, ma anche una valutazione multidisciplinare delle sue comorbidità nell’ottica di una vera e propria “care” della persona sieropositiva. E questo processo di cura diviene sempre più complesso e difficoltoso oltre che la necessità di multiple competenze specialistiche, anche per la sempre maggiore ristrettezza delle risorse economiche disponibili.
Il processo di cura non può poi essere disgiunto da una strategia efficace di prevenzione attraverso i comportamenti e presidi farmacologici, alla luce delle recenti evidenze scientifiche. Infatti, uno studio pubblicato recentemente ha analizzato il tasso di mortalità dovuta ad eventi non AIDS in una coorte di più 65mila pazienti con HIV che aveva iniziato la terapia antiretrovirale (ART) tra il 1996 e il 2009. Lo studio ha mostrato che quasi il 60% dei 3.574 decessi osservati non erano dovuti all’AIDS. Questo dato va quindi correlato al fatto che i pazienti con AIDS presentano numerose comorbidità.
E sono proprio queste condizioni coesistenti il principale problema con cui devono fare i conti oggi le persone con HIV, più del controllo viro-immunologico.
Anche i disturbi neurocognitivi e quelli che interessano principalmente la sfera psicologica e psichiatrica, come ansia, depressione, disturbi del sonno e del sistema nervoso centrale possono essere presenti nei soggetti HIV positivi, anche come conseguenza dei trattamenti.
In aggiunta, è cambiato il paradigma di cura. Una volta l’obiettivo del trattamento era principalmente la soppressione dell’HIV. Per raggiungere questo obiettivo bisognava controllare l’aderenza, la potenza dei farmaci, la barriera genetica e il genotipo virale. Oggi si inizia a parlare di controllo clinico a lungo termine (Long Term Clinical benefit) e di evoluzione clinica del paziente e il controllo virologico è solo uno degli aspetti che vanno controllati.
Quello che dobbiamo considerare oggi è anche la qualità di vita del paziente, la tossicità e potenza dei farmaci e le interazioni farmacologiche e dobbiamo cominciare a considerare la cronicizzazione del virus e la sua capacità di continuare a dare un processo di immuno-attivazione e infiammazione che è alla base della sindrome metabolica.
Il panorama del trattamenton antiretrovirale sta rapidamente cambiando; e accanto alla triplice terapia (TT) si affacciano le cosiddette dua combinations (2DCs), e inoltre il prossimo arrivo dei farmaci long acting ci porrà di fronte a prospettive di gestione diverse per la presa in carico dei pazienti HIV.
Nel 2021 gli unmet needs richiedono anche altri strumenti di valutazione specifica (PROs, HRQols…) e uno sforzo applicativo nella realtà assistenziale delle persone con HIV.
Il dialogo medico-paziente su questi aspetti rappresenta un cardine del miglioramento della qualità di vita percepita.
La valutazione e l’utilizzo dei nuovi farmaci non possono non considerare, a parità di efficacia e tollerabilità, outcome di questo tipo, tenendo conto delle specificità individuali delle persone con HIV.
Le triplici terapie TAF-based rappresentano ancora oggi uno standard of care nei regimi cART garantendo i più elevati livelli di forgiveness ai “compagni di viaggio” dimostrando elevata efficacia, alla barriera genetica nei diversi setting clinici e un miglioramento dei PROs, ponendosi come una valida soluzione anche in epoca COVID, in virtù delle possibili difficoltà di monitoraggio e gestione dei pazienti.
Con questi regimi TAF-based è, quindi, possibile coniugare le esigenze della farmacologia, in termini di affinità di tre farmaci che diffondono nei vari compartimenti, assicurando alte forgiveness e barriera genetica, con quelle dei pazienti, in termini di tollerabilità e di impatto sulla qualità della vita.
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